L’attrazione fatale di balenciaga per il virale è andata un po’ troppo oltre

Articolo scritto da:
Corrado Manenti
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Una donna con in mano una borsa con la scritta e tazza per il vitale, a dimostrazione dell'attrazione fatale di Balenciaga per i trend virali.
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“Ma quelle sono Crocs?”

L'attrazione fatale per Crocs è andata un po' troppo oltre per Balenciaga.

Kane x Crocs

Era giugno 2016, quando durante la settimana della moda di Londra Christopher Kane ha aperto le danze, facendo sfilare le modelle in un buio magazzino inondato di musica elettronica anni ’90, mentre calzavano delle Crocs marmorizzate e tempestate di pietre.

Un anno dopo, mentre il sistema moda è alimentato da gente-che-ha-molti-follower, un altro designer ha pensato di riportare le ciabatte più discusse di sempre in passerella: mentre la collaborazione Kane x Crocs stava ancora offrendo titoli ai redattori di British Vogue, ecco Balenciaga.

Facendo sfilare delle Crocs con una zeppa alta 10 cm durante la settimana della moda di Parigi, Demna Gvasalia non ha solo portato il kitsch a livelli astronomici: in un momento storico di ossessione per la viralità, Balenciaga ha rubato la scena a Christopher Kane facendo il suo stesso gioco.

Subito le Crocs zeppate hanno cavalcato l’onda della provocazione, facendo titoli su qualsiasi testata ufficiale e non, dalla BBC ai blog spagnoli di cultura digitale, indignatissimi per questo scempio della memoria di Cristobal Balenciaga. Come per Kane, pochi titoli erano positivi. A differenza di Kane, però, questa volta erano veramente dappertutto.

Una copertura mediatica così ampia è straordinaria, ma anche immensamente frustrante. Creando prodotti oggettivamente brutti e per questo destinati a essere ridicolizzati dagli utenti di internet, i signori Kane e Gvasalia hanno chiuso un ciclo lungo almeno 20 anni: nella battaglia per attirare l’attenzione e le condivisioni sui social, la viralità – il camp, il ridicolo, l’ironia immediata – ha vinto.

Personalmente, devo ammettere che tutto questo sta iniziando ad annoiarmi. Abbiamo avuto 20 anni per provocare con il brutto e sperimentare outfit che, nel nome della ribellione, avevano lo scopo di non essere per niente donanti. È il momento di smettere di fingere che queste trovate pubblicitarie abbiano un reale valore.

Ovviamente, non biasimo nessuno per il fatto di puntare su questo tipo di scelte: è solo buon marketing.

Intorno agli anni zero, da quando chiunque avesse una connessione internet ha potuto divulgare il suo parere su qualsiasi cosa, l’influenza della stampa ha iniziato a diluirsi. Sì, è ancora figo comparire su Vogue, ma l’attenzione di quelli che contano è rivolta altrove. O meglio, ormai “quelli che contano” hanno tra i 18 e i 34 anni, e secondo un sondaggio di Harvard del 2015 solo il 12 per cento di loro si fida dei media istituzionali.

Ottenere lo stesso effetto del Vogue pre-digitale, quindi, è la nuova missione dei creativi. Considerando che una grossa fetta di fiducia è il risultato di una rete di rapporti interpersonali, c’è bisogno che le persone condividano e approvino quello che fai attraverso i loro canali social. Questo, in modo un po’ fastidioso, incentiva i designer a progettare qualcosa che possa fare rumore, anche se per “rumore” intendiamo generare un un thread di troll sulla home di Twitter.

In genere, le persone condividono qualcosa per uno di questi tre motivi: per intrattenere gli altri, per guadagnare oppure per dare informazioni pratiche. In un campo soggettivo come quello della moda, prevalgono le prime due. Quindi, hai le maggiori possibilità di tenere banco se A) intrattieni (e generi reazioni) e B) facendolo, offri a quelli che si ritengono esperti di moda l’opportunità di sembrare ancora più esperti dando un parere forte più o meno fondato.

Diversamente dai ribelli del passato – Elsa Schiaparelli, Vivienne Westwood e Alexander McQueen – i nuovi provocatori fanno rumore, non vestiti (scusa, Demna), e hanno probabilmente sottomesso il ruolo del prodotto a quello dell’hype.

I loro “Easter egg” non derivano da letture, cinema e viaggi all’estero, ma semmai da un sabato pomeriggio in un grande magazzino di periferia. Non ci sono ideali o sensazioni che si vogliono comunicare, è solo qualcosa di pensato per funzionare sui social. In due parole, strategia e marketing.

Purtroppo, questo è ciò che fanno quasi tutte le case di moda più cool del momento.

Una donna con scarpe rosa su una passerella virale.

Kane x Crocs

Vetements (un altro progetto Gvasalia) unisce i feticci anni ’90 di Margiela a collaborazioni discutibili con marchi poco fashion, aumentandone i prezzi a livello esponenziale e generando in questo modo reazioni del tipo: “Dovrei spendere tutto il mio stipendo per comprare una felpa?!”

OFF-WHITE ricicla brillantemente l’abbigliamento da lavoro riempiendolo di chiusure lampo e spacciando tutto ciò per consumismo d’avanguardia. Addirittura, Virgil Abloh ha rivelato alle sue migliaia di fan che “il senso” della linea era “non comprarla”.

E poi c’è Anti Social Social Club. Nient’altro da aggiungere.

Con tutto il rispetto, l’ossessione dei brand per la condivisione sui social network ha fatto il modo che molto spesso al prodotto finale venga data forma fisica solo dopo aver generato hype.

Le Crocs con la zeppa di Balenciaga sono state davvero troppo: tralasciando l’estetica, a non piacermi è che fossero un’esca riconoscibilissima, a cui tutti però hanno abboccato lo stesso. Stiamo parlando di quello di cui si voleva che parlassimo.

Disegnare qualcosa perché stupisca le masse è un conto, progettare un prodotto che faccia scalpore per la sua bruttezza è ben diverso.

In definitiva, la natura frivola (e quindi divertente) della moda deriva dal fatto che i suoi prodotti vivano e muoiano di hype a breve termine. Quello che mi sta nauseando è che questi specchietti per le allodole incoraggino l’hype ingiustificato.

Perché perdere tempo con l’autenticità, quando puoi ottenere i numeri che il marketing ti richiede con un meme su IKEA? Proprio com’era stato per la Primavera Araba, i social network si rivelano un’arma a doppio taglio.

Alexander McQueen non aveva certo bisogno di foto sovraesposte con modelle che mangiano pizza d’asporto per strada indossando i suoi abiti, perché il suo prodotto era talmente forte da generare stupore e hype in quanto tale.

Ora che i designer di Ugg collaborano tranquillamente con Pornhub, credo sia arrivato il momento di darsi una calmata.

Un gruppo di persone posa davanti a una macchina fotografica per delle foto, mostrando il fascino e l'ossessione per le tendenze virali spinte troppo oltre.

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